Da Repubblica del 11 dicembre 2012
La presunta fine del governo Monti annunciata nel corso del fine settimana è stata tutto sommato una sorpresa. I mercati finanziari quindi, come sempre davanti a sorprese rilevanti, prendono nota e riaggiustano. Per quanto nulla di eccessivamente drammatico sia successo ieri, le decisioni di vendita dei nostri titoli da parte di molti investitori sono state sufficienti a generare un effetto sui tassi abbastanza significativo.
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L’interpretazione della dinamica dei mercati è difficilmente discutibile: la probabilità che il paese non faccia completamente fronte ai propri debiti sovrani aumenta con le dimissioni di Monti e con il collocamento politico di una larga parte del centro destra dietro a Silvio Berlusconi. Tutti coloro che per mesi hanno interpretato lo spread esclusivamente come rappresentazione del rischio dell’implosione dell’Euro, così da poter argomentare che fosse fuori dal nostro controllo, determinato esclusivamente dalla Germania e dalla Bce, farebbero bene a riflettere.
La questione importante da porsi quindi è in che senso gli avvenimenti di questi giorni rendano l’Italia un debitore più rischioso. Il primo punto da considerare a questo proposito è la caduta del governo. Anche se il governo porterà al voto la legge di stabilità, vi sono vari provvedimenti che esso lascerà pendenti, incluso a quanto pare la riforma delle province. La difficoltà con cui anche un governo di tecnici si è mosso nel riformare la spesa pubblica è uno degli indicatori fondamentali cui i mercati ragionevolmente guardano per valutare le possibilità che il nostro paese possa far fronte alla crisi fiscale. Nessun analista può pensare che, al di là dell’emergenza di brevissimo periodo, il riaggiustamento fiscale dell’Italia avvenga con un aumento della pressione fiscale. I provvedimenti di taglio della spesa che la caduta del governo in sostanza rimanda o annulla sono farina al mulino di chi pensa che l’Italia non ce la farà, che il suo sistema istituzionale è troppo corrotto da quella logica assistenziale e corporativa che da decenni ormai soffoca il paese.
Il secondo punto è invece direttamente connesso alla figura di Berlusconi, alla possibilità che egli ritorni alla carica di capo del governo. Non è solo che Berlusconi all’estero sia abbastanza generalmente considerato inadatto a governare il paese per ragioni di carattere etico. E’ che le indiscutibili capacità politiche di Berlusconi, e le sue risorse, saranno impiegate in una campagna elettorale che non e’ difficile immaginare di stampo gravemente populista. Tutti (se non tutti noi, certo tutti gli investitori internazionali) ricordano le sue uscite contro l’Euro, la possibilità di stampare moneta, ed altre amenità. Non esattamente politiche che riempirebbero di gioia i nostri creditori. L’alleanza con la Lega, a questo proposito non aiuta.
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Nemmeno i tecnici del governo Monti hanno saputo dichiarare in questi mesi con chiarazza quelle ovvietà che qualunque serio analista economico conosce e comprende: che il risanamento del paese richiede un consistente taglio della spesa pubblica assieme ad una riduzione del carico fiscale. E’ difficile quindi immaginare che la campagna elettorale indurrà il paese a decidere in modo informato e razionale del suo futuro economico, e cioè se continuare sull’orlo dell’emergenzacome fa da circa venti anni o se pagare i costi a breve di un profondo riaggiustamento fiscale nella speranza di una rinnovata crescita economica nel medio periodo. Avremo invece una competizione tra diverse forme di populismo che, nella misura in cui il vincitore dovrà rispettare anche solo una parte delle promesse elettorali, rischia di portare ancora una volta il paese allo sbaraglio. Come dicevo, i mercati prendono nota e riaggiustano.
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