mercoledì 20 febbraio 2013

FARE: GIANNINO DIMESSO DA PRESIDENZA, SILVIA ENRICO COORDINATRICE



La Direzione Nazionale di Fare per fermare il declino, riunita oggi a Roma, ha esaminato la situazione alla luce delle notizie degli ultimi giorni.
Aspetti estranei alla politica hanno determinato un attacco alla persona di Oscar Giannino.
La forza e la differenza di Fare rispetto alle altre forze politiche rimane in un programma che è la base delle riforme che si vogliono introdurre nel Paese. Applichiamo a noi stessi per primi quei rigorosi standard di trasparenza, etica e rigore che esigiamo da tutta la classe politica.
Per ottenere questo risultato con la maggiore forza possibile, Oscar Giannino ha rassegnato le sue dimissioni irrevocabili dalla carica di Presidente del partito. La Direzione ha preso atto delle dimissioni, e ha nominato all’unanimità l’avvocato Silvia Enrico con la funzione di coordinatrice nazionale di FARE per Fermare il Declino.
La Direzione Nazionale auspica che l’impegno di Oscar Giannino prosegua per confermare lo straordinario risultato elettorale ormai prossimo.
Roma, 20/2/2013

lunedì 18 febbraio 2013

La risposta di Oscar



Pubblicato: Lun, 18/02/2013 - 15:30  •  da: Oscar Giannino
La mia risposta a Luigi Zingales è molto semplice. L'ho data ieri all'Ansa, uscita in rete alle 12.40 . "Mai preso un master a Chicago Booth. Mi hanno detto che in rete c'è una cosa che gira su un mio presunto master alla Chicago Booth. Vorrei chiarire che su questo c'è un equivoco. Io non ho preso master alla Chicago Booth. Sono andato a Chicago a studiare l'inglese. Bastava chiederlo, e avrei risposto. Lo chiarisco perché in rete c'è una cosa che monta. Luigi Zingales insegna alla Chicago Booth, mi è capitato di parlarci, ed è uno dei nostri fondatori. Insegna lì. Io sono stato a Chicago da giovane, a studiare, e non ho preso master alla Chicago Booth".
Ma il punto è un altro. A Luigi, a quattro giorni dalla fine della campagna elettorale, non è bastata. In effetti, da quanto ho detto a Repubblica si capiva il contrario. Quindi, chiarire era necessario in pubblico, sostiene Luigi. Ed è una piccola prova di quello che Fare riserverà all'Italia. Cominciando da me, come - ripeto - è giusto.
Sono da decenni giornalista, non ho mai usato presunti titoli accademici - che non ho - per carriere che non mi competono. Lavoro da quando sono giovane, sotto gli occhi di tutti. Quanto so l'ho studiato per i fatti miei - vale anche per gli altri titoli che mi vengono attribuiti in rete - continuo a farlo ogni giorno, ed è ciò che dato forza a quel che ho fatto scritto e detto sotto gli occhi di tutti.
Ora gambe in spalla, e occupiamoci di raggiungere il risultato che è a portata di mano.

venerdì 15 febbraio 2013

Stai pensando di astenerti dal voto? Parliamone


Da NFA di Massimo Famularo, Andrea Moro, Carlo Stagnaro
Se stai pensando di non andare a votare, ti chiediamo di fermarti qualche minuto a parlarne con noi commentando questo articolo.
Si sente spesso dire che gli indecisi sono il primo partito, ma vale veramente la pena di andare a votare oppure è preferibile astenersi? Noi abbiamo anche una certa idea su cosa sia meglio FARE e per questo abbiamo deciso di invitare tutti gli indecisi a discuterne su questo blog. Inserite nei commenti tutte le vostre perplessità e i motivi per i quali ritenete che non valga la pena andare a votare e ne discuteremo insieme. In attesa delle vostre domande proviamo scorrere quelle che si sentono più di frequente in giro

A che serve andare a votare con questa legge?

Questa legge è uno schifo: siamo i primi a dirlo. In realtà tutti lo ripetono: solo che sinistra, centro e destra hanno prima votato il “porcellum” (Pdl, Lega e centristi), poi l’hanno mantenuto (Pd e Sel) e infine, quando c’è stata una vaga possibilità di cambiarla durante l’ultimo anno, si sono impegnati a trovare soluzioni peggiori (tutti). La realtà è che questa legge fa comodo ai partiti della Seconda Repubblica: chi non crede alla meritocrazia e alla competizione non può che volere una legge il cui prodotto è un parlamento di cooptati. Fare per Fermare il declino la pensa in modo molto diverso: la nostra posizione sulle riforme istituzionali si trova qui:
Votare Fare per Fermare il declino serve a dar forza a chi, davvero, vuole cambiare questa legge elettorale. Il nostro impegno a modificare la legge è garantito dal fatto che
  • abbiamo fondato questo partito per realizzare quelle riforme di cui il paese ha bisogno e che la attuale classe politica, da destra a sinistra, non ha la capacità, l’interesse o la volontà di portare a termine;
  • siamo un movimento costituito da persone che non hanno mai fatto politica e non hanno interesse a farla, dunque non abbiamo alcun interesse mantenere un meccanismo poco trasparente e antimeritocratico, che contrasta con i nostri valori
Da questo punto di vista, provenendo dalla società civile e non avendo mai tradito le promesse fatte, poiché ci presentiamo per la prima volta, siamo molto più credibili dei partiti tradizionali nell’impegno a intervenire sulla legge elettorale.

Cosa può cambiare il voto di una sola persona?

Statisticamente parlando, hai ragione: il voto di un singolo conta poco più di nulla. Ma i milioni sono fatti di individui. Se vogliamo davvero cambiare le cose, dobbiamo impegnarci ciascuno nel suo piccolo, mettendoci la faccia. Se però sei sinceramente convinto che il voto di una sola persona sia irrilevante, allora vogliamo sfidarti: convinci altri 10 conoscenti a votare Fare per Fermare il declino, e chiedi a loro di fare altrettanto con 10 persone di loro fiducia. Scommettiamo che, in questo modo, prenderemo i milioni di voti che ci permetteranno di dare una spallata alla Seconda Repubblica?
Quando si dice che gli astenuti sono il primo partito, significa che se tutti quelli che si astengono riuscissero a coordinarsi potrebbero scegliere il partito che governerà il paese. Per farlo, tuttavia, dovrebbero avere un’alternativa accettabile da poter scegliere, mentre in genere l’astensione e determinata proprio dalla mancanza di valide alternative. E’ per questo che abbiamo dato vita a FARE per Fermare il Declino, perchè anche noi riteniamo che nessuna dei vecchi partiti sia accettabile e che votare il “meno peggio” significhi mantenere il sistema di malgoverno, che con la collaborazione di destra e sinistra ha portato il nostro paese sull’orlo del baratro.
Anche noi ci saremmo, forse, astenuti o avremmo dato un voto di protesta (ad es Grillo). Poi abbiamo deciso che questo paese merita un’opportunità; che mentre eravamo troppo occupati a lavorare, il paese è stato governato da una classe politica e dirigente composta da incompetenti quando non da veri a propri disonesti. E’ proprio perchè condividiamo il tuo giudizio sui partiti tradizionali che abbiamo dato vita a un movimento nuovo con il quale intendiamo restituire la sovranità alla parte migliore del paese, quella che vive di lavoro e impegno e non di politica e sussidi. Per questo ti chiediamo di darci un’opportunità.

I partiti sono tutti uguali, che differenza fa sceglierne uno, fosse anche il meno peggio?

Non è vero: i partiti non sono tutti uguali. Si assomigliano molto, seppure con irresponsabilità e tic diversi, i grandi partiti della Seconda Repubblica: Pd, Pdl, e l’accozzaglia da cui è nata la Lista Monti. Sono uguali i partiti costituiti da politici di mestiere (o dai mestieranti della politica come diceva un saggio) e operanti nell’interesse proprio o al limite di poche minoranze organizzate. Noi siamo diversi e per questo abbiamo cercato di costruire un soggetto politico differente.
La rottura con i partiti tradizionali e con chi aveva un’esperienza politica troppo significativa (che ci ha complicato la vita non poco), il limite a due mandati per ogni candidato con divieto di qualsiasi cumulo di cariche, il rifiuto del finanziamento pubblico sono tutti elementi che demarcano la distanza tra noi e quei partiti tutti uguali che ti hanno fatto passare la voglia di andare a votare.
Per una volta vogliamo dare ai cittadini la possibilità di votare il meglio e non il meno peggio.

La politica non mi interessa, non ci capisco niente.

Il disinteresse per la politica e’ comprensibile: i politici sono a caccia di poltrone, la loro comunicazione e’ fatta di slogan e promesse che poi non trovano riscontro nelle scelte in parlamento. 20 anni di berlusconi, ma anche di craxi, mani pulite & co, ci hanno abituato ad una politica costituita dal perseguimento dell’interesse personale e mai in un confronto onesto per il perseguimento del bene comune. Noi non possiamo garantirti di essere diversi, ma almeno la nostra reputazione e’ intatta: i nostri candidati vengono tutti dalla societa’ civile, e hanno promesso di tornarci al massimo dopo due legislature. Abbiamo stilato un programma chiaro e facilmente “misurabile”, nel senso che e’ facile vedere se l’abbiamo rispettato o meno. Abbiamo nominato una commissione di garanti non appartenenti al partito che verifichi l’operato dei nostri parlamentari informando gli elettori con una relazione annuale.

Tanto vince Bersani/Monti/Berlusconi: votare per una formazione piccola come la vostra è inutile, tanto vale stare a casa.

E’ vero che con milioni di votanti nessun voto strettamente parlando e’ utile. Pero’ in particolar modo quando nel nostro caso e’ importante far sentire che la maggioranza silenziosa e’ stanca. La scheda bianca o nulla e’ un voto a favore dei partiti tradizionali, perche’ disperde la protesta contro di loro. Un voto per FARE e’ un voto che porta questa protesta in parlamento, per essere esercitata in modo piu’ efficace. L’dea del “voto utile” è una trovata dei vecchi partiti per mantenere lo status quo ed è smentita anche dalle rilevazioni sulle intenzioni di voto: non esistono due poli principali che rendono le altre forze politiche irrilevanti. Ci sono almeno altri due giocatori rilevanti ossia Monti e il movimento a 5 stelle e due ulteriori nuovi entranti ossia FARE per fermare il declino e Rivoluzione Civile di Ingroia. Esiste una la possibilità che neanche un accordo tra PD e Monti riesca a garantire una congrua maggioranza al senato dunque i giochi sono assolutamente aperti e ogni voto, anche il tuo voto, è utile.
Se pensavi di astenerti vuol dire che condividi il nostro disappunto per la classe politica esistente dunque i due poli vecchi e il partito finto-nuovo non fanno per te, ti resta il voto di protesta per Grillo oppure potresti prendere in considerazione le nostre proposte se ti va di comunicarci le tue perplessità nei commenti saremo felici di risponderti.
Appello conclusivo: prima di astenerti parlaci delle tue motivazioni.
Abbiamo scritto diffusamente perchè crediamo che valga la pena di votare per FARE e mettiamo a tua disposizione l’area commenti di questo sito per discutere dei motivi per i quali vorresti astenerti oppure di qualunque perplessità tu abbia sul nostro programma: quanti altri partiti lo fanno? Perchè non approfittarne?

Stagnaro: "privatizzare Eni, Enel e municipalizzate, via la Robin Tax, riportare l'energia al centro"


Intervista a Carlo Stagnaro, tratta da Quotidiano Energia
La Sen non va nella direzioni giusta poiché lo sviluppo del sistema energetico non deve essere pianificato centralmente ma essere frutto delle libere scelte di operatori e consumatori, giusto caricare gli incentivi alle rinnovabili sulle bollette ma occorre semplificare le procedure e disincentivare il consumo di fonti inquinanti, evitare ulteriori oneri come il capacity payment, privatizzare gli incumbent pubblici (da Eni ed Enel fino alle municipalizzate) per creare un mercato realmente concorrenziale, modificare il Titolo V per riportare le competenze sull'energia al centro. Sono queste, in sintesi, le strategie energetiche illustrate dal co-fondatore di Fare per Fermare il Declino. nonché direttore del dipartimento Studi e ricerche dell'Istituto Bruno Leoni, Carlo Stagnaro. Ecco cosa ci ha detto nel quarto appuntamento dell'inchiesta di QE con le principali forze politiche in vista delle elezioni del 24/25 febbraio.
D. La Sen lasciata in eredità dal Governo tecnico punta contemporaneamente sul gas e sulle Fer/efficienza. Viste le prospettive future dei consumi (sui quali impattano ulteriormente proprio efficienza e risparmio energetico) sono obiettivi compatibili? Non sarebbe meglio focalizzare l'attenzione su uno dei due mercati?
R. Riteniamo che l'approccio della Sen non sia condivisibile. Prima ancora del merito delle indicazioni fornite nel documento, a nostro avviso l'evoluzione del sistema energetico non deve essere pianificata centralmente, ma deve essere il frutto delle libere scelte di operatori e consumatori. Il ruolo dello Stato è, da un lato, fornire una adeguata regolazione che consenta il funzionamento del mercato; dall'altro declinare delle politiche ambientali che consentano di incorporare il "costo sociale" delle attività di consumo e produzione energetica nel comportamento degli attori del mercato e nei prezzi. Quindi, a nostro avviso non solo non dovrebbe esserci alcuna "strategia nazionale", ma lo spazio per le politiche pubbliche è quello, importantissimo, legato alla definizione delle regole del gioco. I risultati non possono essere oggetto di decisione politica.
D. Lo sviluppo delle Fer deve continuare a pesare sulla bolletta? E fino a che punto? Sono auspicabili e praticabili strumenti di sostegno alternativi?
R. Nella misura in cui le Fer vengono incentivate, è corretto caricarle sulla bolletta, in maniera che l'onere ricada sui consumatori in proporzione a quanto consumano (e non sul contribuente in generale). Nel passato, però, si sono commessi troppi errori, legati sia alla sovraincentivazione di alcune fonti rinnovabili, sia alla gestione politica e incoerente dell'intero dossier. Riteniamo che, in prospettiva, si debba intervenire sia con un profondo processo di semplificazione delle procedure, sia con un rapido decalage degli incentivi fino a un obiettivo pari a zero per la capacità installata dopo il 2015. Il modo più efficace di promuovere le Fer è disincentivare il consumo di fonti inquinanti, mettendo poi in competizione tra di loro le fonti pulite e lasciando al mercato il compito di trovare il mix ottimale tra Fer elettriche, rinnovabili non elettriche, efficienza etc.
D. Quali interventi immediati sarebbero necessari per ridurre il costo dell'energia per imprese e consumatori?
R. La bolletta va ripulita di tutte le incrostazioni non necessarie, che vanno dai sussidi ad alcune categorie di consumatori fino agli oneri di sbilanciamento che, correttamente, l'Autorità intende trasferire sulle spalle di chi è all'origine di tali sbilanciamenti. Inoltre bisogna impedire l'introduzione di nuovi oneri, come quelli legati al cosiddetto "capacity payment". Ma questo intervento, se isolato, rimane monco: occorre contemporaneamente consentire ai produttori rinnovabili di commercializzare e valorizzare l'energia prodotta con strumenti di mercato, superando l'attuale monopolio Gse. Più in generale, è indispensabile garantire un adeguato livello di concorrenza nel mercato elettrico e in quello gas (i cui colli di bottiglia spiegano in parte i prezzi elettrici). A questo fine non è sufficiente una rigorosa applicazione delle norme antitrust: bisogna anche vigilare sulla realizzazione dei necessari investimenti in nuova capacità di stoccaggio. Ultimo, ma non meno importante, la presenza di operatori pubblici è di per sé un ostacolo alla concorrenza: privatizzare gli incumbent pubblici, da Eni ed Enel fino alle municipalizzate, è un passaggio essenziale nella creazione di condizioni autenticamente concorrenziali. Nel settore gas bisogna dire un chiaro no a forme di capacity payment per i contratti take or pay: si tratterebbe di un aiuto di Stato privo di qualunque giustificazione e pesantemente distorsivo della concorrenza.
D. Nonostante molte riforme, il prezzo dei carburanti rimane elevato. Bisogna agire solo sul peso fiscale o esistono altri aspetti su cui intervenire?
R. Purtroppo dobbiamo essere realisti: sebbene nel medio termine un riordino della tassazione energetica sia necessario, nel breve termine non riteniamo possibile ritoccare al ribasso il livello delle accise. Crediamo tuttavia si debba prendere un forte e credibile impegno a non alzarle ulteriormente. Sempre in tema di fiscalità, siamo inoltre favorevoli all'abolizione della "Robin Tax", un'imposta irrazionale e distorsiva. Per quel che riguarda i carburanti, poi, crediamo debba essere completato il percorso di liberalizzazione lasciato monco dal Governo Monti: liberalizzando completamente orari e turni, consentendo le aperture 24/7 anche in ambito urbano (incluso il self service) e rimuovendo gli ostacoli più o meno pretestuosi all'apertura di nuovi impianti, compresi quelli presso la grande distribuzione. In particolare occorre eliminare dalle normative regionali gli obblighi di Gpl, metano o idrogeno che, come correttamente riconosciuto dall'Antitrust, hanno natura anti-concorrenziale.
D. Pensate sia opportuno avviare nuove liberalizzazioni e ridurre il peso degli azionisti pubblici nel settore energetico?
R. Non bisogna avviare nuove liberalizzazioni ma completare quelle già avviate (e che hanno prodotto risultati comunque non marginali) e correggere le storture che, nel tempo, si sono stratificate. L'esempio più clamoroso è quello della timida separazione di Snam da Eni: un provvedimento del tutto condivisibile, se non fosse che sia la rete sia l'incumbent sono stati mantenuti sotto ferreo controllo pubblico. Come detto, una componente importante della strategia di liberalizzazioni che abbiamo in mente è la privatizzazione di tutti gli operatori pubblici, sia nazionali sia locali. Nel caso di Eni, in particolare, probabilmente è ragionevole far precedere la privatizzazione da una riorganizzazione aziendale che separi la parte oil & gas dalla utility, e preveda una cessione separata.
D. La riforma del Titolo V è ferma in Parlamento per la fine della Legislatura. Pensate sia opportuno approvarla? Esistono altri rimedi per accelerare e snellire gli iter burocratici?
R. Fare ritiene che, per addivenire a un più solerte sistema di autorizzazione (permitting), si debba modificare il Titolo V della Costituzione che fissa oggi il criterio della competenza "concorrente" tra Stato e Regioni: un sistema che ha causato blocchi e paralisi che il Paese non può più permettersi. Questo non significa togliere la parola ai territori e alle autonomie locali: tutti debbono essere messi in condizione di essere correttamente informati e di esprimersi su iniziative industriali e infrastrutturali, ma è necessario un quadro decisionale più chiaro e definito, che non lasci incertezze nell'applicazione della legge e nella definizione degli iter autorizzativi, e minimizzi i conflitti di attribuzione tra Stato e Regione e più in generale lo scontro tra Centro e Periferia.

Oscar Giannino assicurazione contro la disoccupazione


Da Termometro politico
Oscar Giannino è capolista alla Camera per il suo movimento Fare per Fermare il Declino.
Il giornalista prestato alla politica continua nell’estenuante ricerca del consenso tra gli elettori delusidalla vecchia politica, e fra questi, quello degli indecisi.
Risale al 10 febbraio l’appello, pubblicato sul sito web del suo movimento, ai disoccupati in cui annuncia che in luogo della “vecchia” CIG (cassa integrazione guadagni) introdurrà un’assicurazione contro la disoccupazione che garantirà il salario a “tutti” fino a quattro anni dal licenziamento. Con questa mossa rivendica la volontà di abbattere la precarietà e di far ripartire l’economia attraverso la protezione dei consumi dei disoccupati.
Di sabato 9 febbraio è l’ennesimo appello agli elettori indecisi. Lanciato dal palco dell’antimeeting dopo una sfilata in catene, bandiere e spillette dei suoi sostenitori per le vie del centro di Milano.
In quella sede, oltre a proporre una diretta video delle riunioni del Consiglio dei Ministri (segrete fin dai tempi dello statuto Albertino), afferma che le banche sotto la garanzia della Cassa depositi e prestiti, debbano pagare quei crediti che le imprese vantano nei confronti dello Stato.
Come ha ribadito in un’intervista pubblicata in data 11 febbraio sul Secolo XIX, questa azione porterebbe più liquidità nelle casse delle aziende, consentendo il rilancio dell’economia perché le imprese potranno investire e assumere più personale, mettendo così un freno alla disoccupazione galoppante.
I toni usati da Giannino, e dagli altri candidati che hanno parlato dal palco pima di lui, sono gli stessi che hanno caratterizzato la sua campagna elettorale fin dall’inizio. Forse ancora più effervescenti perché galvanizzati dalla folta e chiassosa platea festante raccolta nella Sala MiCo della fiera di Milano che ospitava la convention.
Damiano Partescano (DP)

Ci vuole un ordinamento tributario civile, cosa che qui in Italia non abbiamo


"Non mi stupisce che Berlusconi difenda le tangenti", per certi politici "il fine giustifica i mezzi". Oscar Giannino, leader di 'Fare per fermare il declino', con una intervista ad Affaritaliani.it di Tommaso Cinquemani e Lorenzo Lamperti, denuncia l'esclusione dal confronto tv tra Monti, Bersani e Berlusconi, incapaci, a suo dire, di dare risposte "ad una larga parte dell'elettorato". Poi si addentra negli scandali che hanno travolto Mps e Finmeccanica e propone il carcere per gli evasori, sempre che prima ci sia "un ordinamento tributario più equo". L'obiettivo dell'ex giornalista è il "4% alla Camera", ma in ogni caso Fare "si presenterà alle Amministrative". Giannino ammette di aver votato il Cavaliere, ma "non nel 1994". E sul suo look: "Scelgo tessuti e tagli. I vestiti non possono essere solo grigi e di blu".
Oscar Giannino, alla fine il confronto in tv tra i candidati si farà, ma solo con Bersani, Berlusconi e Monti. Come ha preso questa notizia?
Non sono stupito perché è la classica maniera di ragionare dell'offerta politica tradizionale. Non capiscono che il vero segno di svolta di queste elezioni sarà l'ingresso in parlamento di una quantità molto elevata di persone al di fuori dei vecchi partiti e delle vecchie coalizioni come per esempio coloro che fanno parte del Movimento 5 Stelle. Quindi non c'è dubbio si tratti di una scelta che tiene fuori una parte molto significativa dell'elettorato.
Secondo lei c'è stato un accordo tra queste forze per escludere lei o Grillo dallo spazio mediatico?
Beh, la tendenza del centrodestra, del centrosinistra e del centrismo di Monti è quella di voler racchiudere nella loro rappresentanza la totalità dell'offerta politica. Ovviamente non è così. La loro pretesa è smentita dai fatti già da anni dal Movimento 5 Stelle e ora spero anche da noi.
Il giorno dopo le elezioni quale soglia lei definirà come soddisfacente?
Noi abbiamo una scommessa, quella di riuscire in questa cosa pressoché impossibile essendoci candidati alle elezioni solo lo scorso 8 dicembre. Ed è quella di superare la soglia del 4% necessaria per entrare alla Camera e in alcune regioni la soglia dell'8% per portare anche dei senatori. Certo, questo sarebbe l'optimum ma anche solo avvicinare questi obiettivi sarebbe uno straordinario successo. E comunque sia andremo avanti e presenteremo dei nostri candidati alle prossime amministrative.
In quella Lombardia che per il voto è un po' considerata l'Ohio d'Italia a chi pensa di sottrarre più voti?
Non si tratta di sottrarre… questo è un verbo che usa Berlusconi. L'elettorato è libero di votare chi vuole magari dopo essere stati deluso da chi c'è stato prima. Quello che vediamo noi è che c'è gente che viene dalle più diverse estrazioni. Tanto dalla destra quanto dalla sinistra. I numeri però sono molto risicati e quindi specialmente in Lombardia un voto per lei potrebbe significare far perdere una parte o l'altra…
Su questo non c'è dubbio ma il conto che i vecchi partiti fanno a bocce ferme pensando al 2008 è completamente sbagliato. Quella che uscirà dalle urne sarà un'Italia molto diversa. Negli ultimi cinque anni sono successe molte cose di una durezza molto evidente: la crisi, la tenuta delle imprese e del lavoro, l'affermazione di Grillo… come si fa a ragionare come ragionano loro, è del tutto sbagliato. Certo, a causa di questa demenziale legge elettorale il voto in regioni come la Lombardia e la Campania determinerà la governabilità o meno dell'intero Paese.
Nel suo programma è prevista un abbattimento della burocrazia e una revisione del sistema tributario. Lei spesso si rifà agli Stati Uniti, dove per l'evasione è prevista anche la galera. Crede che dopo un'adeguata riforma il carcere possa essere uno strumento utile contro l'evasione anche in Italia?
L'evasione fiscale italiana non nasce per una componente genetica come dice spesso la propaganda pubblica. Il problema è che in una sola generazione abbiamo alzato la pressione fiscale di 15 punti, cioè del 50%. Siamo al 45% di pressione fiscale quando 25 anni fa era al 30%. Questo bruschissimo innalzamento ha prodotto delle anomalie che sono commisurate a questo cambiamento. Poi è verissimo che negli Stati Uniti che Al Capone fu incastrato per evasione fiscale e che è prevista la carcerazione per forme di evasione particolarmente gravi. Però bisogna dire che lì la pressione fiscale è di molto inferiore alla nostra. Ecco, quindi bisogna andare di pari grado, per così dire. Ci vuole un ordinamento tributario civile, cosa che qui in Italia non abbiamo. Noi siamo un'anomalia tra tutti i paesi avanzati. Il nostro sistema prevede i fermi amministrativi e il pignoramento della prima casa nella prima fase del contenzioso e non a condanna avvenuta. Ci sottopone al giudizio di un giudice che appartiene alla stessa amministrazione tributaria alla quale appartiene colui che è incaricato di fare una stima del nostro reddito e che ha anche l'apparato dell'esazione coattiva. Si tratta di fare tre cose insieme: un ordinamento tributario più equo che non deve più essere asimmetrico a favore dello Stato, abbattere la pressione fiscale tagliando la spesa e infine rivedere il sistema sanzionatorio.
Riferendosi al caso Finmeccanica Berlusconi ha detto che le tangenti esistono e non bisogna stupirsene…
Chiunque si stupisce che Berlusconi difenda le tangenti alzi la mano…
Perché? Pensa che nella politica di Berlusconi ci sia un approccio morbido sul tema?
Credo che la mano pubblica italiana ha un approccio diverso rispetto a quello di moltissimi altri paesi avanzati. Cioè questo fatto che "il fine giustifica i mezzi". Basta vedere le centinaia di indagini penali aperte in Italia sull'uso improprio di denaro in qualsiasi campo e settore. E non si fa eccezione nelle grandi aziende controllate dallo Stato e quotate in borsa. È una caratteristica negativa dovuta all'estensione della mano pubblica italiana. Purtroppo nelle opacità ci sono troppe cospicue occasioni perché nessuno se ne approfitti. Per quanto riguarda Finmeccanica opera in un mercato molto particolare che ha tra i suoi clienti governi di Stati del tutto diversi tra loro. Lo Stato azionista dovrebbe fare due cose. Primo: dire a imprese di questo tipo che cosa si può fare e che cosa non si può mai fare invece che tenere occhi e orecchie chiuse. Secondo: alle prime notizie di indagini aperte effettuare una ricognizione molto precisa per capire se è il caso di difendere o rimuovere il management per preservare la credibilità delle aziende. Finmeccanica è nel mirino dei magistrati da anni e anni ma i governi in tutto questo tempo non hanno fatto nullo. Conseguenza: perdita di credibilità nel mondo e perdita di posizioni all'interno di un mercato molto concorrenziale.
Casi come quelli di Finmeccanica o Mps dimostrano che la politica è poco attenta al controllo di queste aziende perché ci sono in ballo anche interessi politici?
Il caso Mps potrebbe essere il caso di una qualsiasi banca italiana. In tutte le maggiori banche private italiane il controllo è affidato a questo tipo di soggetti che altrove non esiste: le fondazioni bancarie. Ce le dovemmo inventare più di vent'anni fa quando privatizzammo le banche ma il loro compito avrebbe dovuto esaurirsi. Il ruolo a loro assegnato era a tempo. Le nomine dipendono da queste fondazioni politiche e questo causa un meccanismo di induzione impropria, come a Siena. Porta gli amministratori a pensare che basta tenersi buoni i politici per poter decidere di comprare banche a costi folli, di pagarle cash, di non portare in cda le coperture delle perdite miliardarie, di eludere i regolatori e così via. La conseguenza sono banche meno in grado di fare impegni alle famiglie e alle imprese, quindi all'economia reale. Bisogna indurre le fondazioni a smettere il controllo delle banche perché è un ruolo improprio. Nelle aziende con controllo pubblico idem con patate. I manager si tengono buoni i politici che li nominano per avere mani libere e fare ciò che vogliono.
Ha mai votato Berlusconi?
Sì, non nel 1994 ma dopo il primo ribaltone. Poi ho detto basta perché tutte le sue promesse sono rimaste inevase. Dal meno Stato al meno tasse, dall'abbattimento del debito pubblico alla riforma della giustizia fino alle politiche per le famiglie: non ha mai tenuto fede a niente.