venerdì 30 novembre 2012

Il Nord-Ovest lotta contro la crisi


Pubblicato: Ven, 30/11/2012 - 15:30  •  da: Redazione di Fermare il Declino

Da CentroEinaudi.it di Riccardo De Caria ( coordinatore Piemonte)
La crisi non risparmia il Nord-Ovest. Malgrado alcune felici eccezioni, lo scenario complessivo è piuttosto pesante, soprattutto in Piemonte. Con questo breve intervento, getteremo uno sguardo sulla situazione economica di queste aree per cercare di capire quali ripercussioni politiche possa vere la crisi in atto.
1. Un recente studio della Banca d'Italia ha registrato un calo del fatturato nel 55% delle aziende piemontesi con oltre venti dipendenti, con il 22% di aziende si aspetta di chiudere il 2012 in perdita. Quello stesso studio ha poi fornito dati allarmanti anche sull'occupazione: con il suo 9,1%, il Piemonte ha il non invidiabile record di disoccupati tra le regioni del Nord, e del resto sono di più le aziende che prevedono di ridurre gli occupati rispetto a quelle che prevedono di aumentarli.
Quest’ultimo dato è confermato anche da uno studio promosso dalla sezione piemontese di Fermare il Declino (disclosure: movimento politico di cui chi scrive è esponente attivo). Da questo lavoro emerge come nei soli primi sei mesi del 2012, le chiusure di aziende siano state oltre 2000 più delle aperture, un dato che aggrava ulteriormente il saldo del 2011, negativo per 517 unità.
2. Resiste, se pur a fatica, il cuneese, che nonostante un calo del reddito pro capite a fine 2010 che ha portato la Provincia Granda, per la prima volta da tempo, al di sotto della media regionale, ha limitato la disoccupazione e registrato una crescita se pur contenuta (dati sempre riferiti al 2010). Questo dato positivo si deve in misura significativa agli investimenti fatti negli passati nell’agroalimentare di alta gamma, che consentono oggi all'agricoltura cuneese di essere molto forte nell'export e tenersi al riparo dai problemi degli segmenti di mercato del settore (l'agroalimentare è in grado di attirare interesse anche da zone remote, come dimostra il recente viaggio di una delegazione della contea svedese della Scania in Val d'Aosta, il cui obiettivo era di approfondire le collaborazioni). Le previsioni per il futuro comunque sono un campanello d'allarme anche in quest'area in grado di difendersi relativamente bene dalla crisi: il Centro Studi dell'Ance Piemonte dipinge uno scenario preoccupante nell'edilizia, con un'impresa su due che prevede di ridurre il proprio fatturato nei mesi a venire.
A patire la crisi non sono solo gli imprenditori e i lavoratori di qualificazione media o bassa (la Regione Piemonte ha lanciato l'allarme sull'esaurimento dei fondi per il pagamento della cassa integrazione in deroga): anche se il fenomeno non riceve considerevole attenzione, un'indagine di ManagerItalia testimonia che ben 4500 dirigenti hanno perso il lavoro in Piemonte dal 2008 ad oggi, circa il 90% dei quali concentrati a Torino; il dato peggiore è che solo la metà ha ritrovato un incarico da dirigente tra il 2009 e il 2011.
In discesa anche il mercato immobiliare: l'Ufficio studi di Tecnocasa ha rilevato un calo tra 2 e 7% dei prezzi medi degli appartamenti in Piemonte, e una drastica riduzione dei mutui collegati all'acquisto di un'abitazione (-61% tra gennaio e marzo 2012): le compravendite, del resto, da gennaio a giugno sono calate in Piemonte del 22%, con il Biellese maglia nera della classifica (-31,4%).
Il tutto a fronte di un'inflazione dei prezzi rilevata in Piemonte a settembre al 3,3%, sopra la media nazionale, e di un disagio sociale che si acuisce: il problema-casa si fa molto pressante, con le conseguenti occupazioni abusive e resistenze organizzate agli sfratti messe in atto da frange dell'estremismo di sinistra; ma il disagio si manifesta anche nel problema del gioco d'azzardo, la dipendenza patologica dal quale è in aumento anche in Piemonte.
Uno studio di Confindustria dipinge uno scenario di crisi anche in Val d'Aosta, con una riduzione del tasso di utilizzo degli impianti, 4 aziende su 10 che a ottobre prevedevano un calo della produzione entro dicembre, e un'impresa su quattro che prevedeva di ridurre la propria forza lavoro; i dati Istat del resto confermano un aumento durante il 2012 del ricorso alla cassa integrazione.
Quanto alla Liguria, accanto a scenari difficili come quello della Bombardier Transportation e a un turismo che inevitabilmente risente di una situazione di contrazione generalizzata dell'economia, è stata davvero emblematica a ottobre la vicenda del Salone Nautico di Genova, con l'imprenditoria nautica che per la prima volta in oltre cinquant'anni ha disertato l'inaugurazione, in polemica con i recenti provvedimenti governativi come la cosiddetta tassa sul lusso che hanno assestato un durissimo colpo alle aziende e ai lavoratori settore (peraltro facendo perfino registrare un calo di gettito fiscale complessivo). In controtendenza l'edilizia, che un'indagine di settembre 2012 di Anaepa Confartigianato ha mostrato in crescita (anche se l'aumento di produzione non si è riflesso sui livelli occupazionali).
3. I tempi di crisi sono anche inevitabilmente tempi di fibrillazione sul piano politico. Il Presidente piemontese Cota sembra esser stato sul punto di revocare le deleghe all'assessore Giordano: tale revoca non si è poi verificata ma la vicenda è stata comunque un ulteriore atto di una lunga serie di tensioni interne alla maggioranza di centrodestra, minata all'origine dal peccato originale delle firme false per una lista decisiva alla sua vittoria, e alle prese con un buco di 10 miliardi in sanità in misura rilevante dalle giunte precedenti, ma che neppure l'autorevole manager Monferino sembra essere stato in grado di aggredire. Comuni importanti come Torino e Alessandria sono anch'essi strangolati dagli ingentissimi debiti contratti nel corso degli anni, con la seconda cittˆ che ha addirittura dichiarato il dissesto per evitare il commissariamento, e che fatica a pagare gli stipendi dei dipendenti. Torino è impegnata in un difficile tentativo di ripianare i debiti con la vendita di alcune partecipate (anche se i partner prediletti sono sistematicamente società in mano pubblica, con il risultato di spostare fuori bilancio i debiti ma non mutare in modo sostanziale la situazione per il contribuente).
Anche nel centrosinistra, il primo turno delle primarie Pd mette in luce significative divisioni, con il capoluogo Torino roccaforte bersaniana e Renzi che quasi pareggia il conto complessivo battendo il segretario nella maggior parte delle restanti aree del Piemonte.
La Valle d'Aosta si prepara a votare nel 2013 e la sensazione è che anche il Piemonte, vuoi per decisione dei giudici, vuoi per implosione sul piano politico, tornerà alle urne prima della naturale scadenza del 2015.

I troppi non detti di Bersani nell'agenda economica del suo Pd


Pubblicato: Ven, 30/11/2012 - 10:30  •  da: Redazione di Fermare il Declino
Da Il Foglio del 30/11/2012 di Carlo Stagnaro e Luciano Capone
Pier Luigi Bersani è un po' zio prudente, un po' nobile decaduto. Nel senso di Raffaello Mascetti, il conte di Amici Miei. Gli amici Melandri, Necchi e Perozzi cercano di convincerlo a trasferirsi in uno scantinato: “Ambiente unico, diviso in comparti mobili, come in Giappone. Stile moderno: pare che non c’è nulla e invece c’è tutto". E lui di rimando: "Pare che c’è tutto e invece non c’è nulla". Ecco, così è il suo programma. "Il coraggio dell'Italia" è un agile documento di sedici cartelle, ciascuna puntellata da uno slogan e ogni slogan col suo bravo puntino sulla i: "nessuno si salva da solo", "la crisi della democrazia esige ancor più democrazia", "il lavoro non rappresenta esclusivamente la produzione", "le imprese hanno bisogno di più forza", e via discorrendo. Solo che, se uno cerca concretezza, trova nulla: non una cifra, non un dato, neppure le pagine sono numerate, per non aprire subliminalmente la porta al sospetto che, se qualcosa non è misurabile, non è neppure discutibile. Se mancano informazioni quantitative, però, non è solo sciatteria. E' anche perché l'ex ministro dello Sviluppo economico ha scientificamente eliminato qualunque oggetto che potesse essere tradotto in statistiche. Sicché, fa ancora più impressione l'assenza di parole chiave dell'attualità e persino della storia politica di Bersani. Mancano del tutto termini quali “privatizzazioni”, “spesa pubblica”, “debito pubblico”, e “liberalizzazioni”. Non parliamo di dettagli, ma di quattro temi centrali nella discussione sul ruolo dello Stato e il futuro del nostro Paese. Il programma di Renzi può piacere o non piacere; è esplicito su questo e reticente su quello; ma, insomma, dà un'idea chiara di quello che il "figlio coraggioso" potrebbe o vorrebbe fare. Invece, Bersani non ritiene necessario riflettere sui 33 mila euro di debito che gravano sul groppone di ogni italiano, inclusi neonati e ultracentenari. Siamo travolti da una crisi che il mondo chiama del "debito sovrano", ma si cincischia sull'uguaglianza come "ricetta economica per uscire dalla recessione" (Paul Krugman, tra gli altri, ritiene che la disuguaglianza non abbia nulla a che fare con la crisi, e quindi la sua riduzione, per quanto desiderabile, non può esserne la soluzione. Paul Krugman, non Milton Friedman). Se il segretario del Pd non affronta la questione nel programma, lo fa di fronte a una domanda precisa nel dibattito di mercoledì sera, e sceglie la via più facile: lo Stato torni a fare l'azionista pubblico cazzuto che difende i gioielli di famiglia, come Ansaldo Energia. L'importante è che non passi lo straniero, di debito ed efficienza chissenefrega. La spesa pubblica, che pure vale oltre il 50 per cento del Pil, non è a sua volta un problema: altro che spending review, basta e avanza una lisciata (ma non l'eliminazione, che tutti tengono famiglia) al finanziamento pubblico ai partiti. Le tasse, ça va sans dire, cresceranno: "si esce dalla crisi solo se chi ha di più è chiamato a dare di più. E chi ha di meno viene aiutato a migliorare le proprie condizioni di vita". A nessuno viene promesso che pagherà di meno, tranne il generico impegno ad abbassare il prelievo (di quanto? boh!) su lavoro e impresa per inasprirle su patrimoni finanziari e immobiliari. 
Del resto, l'idea di #PB2013 - differentemente dall'uomo delle lenzuolate di cui ormai si smarrisce il ricordo - è che, se c'è qualcosa da fare, deve farlo lo StatoDa azionista dove possibile. Da regolatore muscolare che mette in fila le imprese dove necessario. E da finanziatore, per interposta Cassa depositi e prestiti, in tutti gli altri casi. Non stupisce – ma meraviglia, se ci è consentito il paradosso - che l'alba della politica industriale bersaniana coincida col tramonto delle liberalizzazioni. Perché li-be-ra-liz-za-zio-ni è un vocabolo che non troverete nell'opuscolo, non rintraccerete nei discorsi, e che fa capolino nel dibattito solo per rivendicare interventi politici sui prezzi di alcuni servizi, che della concorrenza sono l'antitesi. Bersani ha imparato la lezione: questa volta, può contare sul voto dei tassisti.
 

giovedì 29 novembre 2012

Fermare il Declino: Nome e Simbolo non si cambiano. Infondata la notizia del Giornale


Pubblicato: Gio, 29/11/2012 - 14:30  •  da: Redazione di Fermare il Declino
La notizia pubblicata dal Giornale di oggi secondo la quale avrei affidato a  una società di comunicazione il rebranding di nome e simbolo del nostro movimento è destituita di fondamento." Lo ha dichiarato Oscar Giannino. "Grazie al cielo continuiamo ogni giorno a riempire sale, teatri e piazze, riscontrando un interesse crescente e sempre più adesioni al nostro impegno per un'offerta politica basata su una fortissima discontinuità con la vecchia politica e sui nostri dieci punti programmatici. Ciò che va offerto agli italiani delusi e spesso inferociti non è nulla di simile a un simbolo che attiri o ad adesioni a partiti di plastica basati sul comando personale, ma un impegno serio basato sul coinvolgimento dal basso nella scelta di italiani che portino in politico la loro carica di buon senso, credibilità e dedizione personale".

Bersani & co.: il declino è anche colpa vostra


Pubblicato: Gio, 29/11/2012 - 08:30  •  da: Luigi Zingales

La risposta ufficiale di Bersani alla mia lettera non è arrivata. E’ arrivata solo quella di Meloni, membro della segreteria nazionale del Partito Democratico e pretoriano di Bersani, cui rispondo volentieri.
Caro Marco, mi dispiace non essere stato sufficientemente chiaro nella mia lettera. Io non ho nessun problema a firmare il contenuto della Carta d'Intenti per l’Italia Bene Comune. Credo “in un progetto di società di pace, di libertà, di eguaglianza, di laicità, di giustizia, di progresso e di solidarietà.”. Non credo “alle bugie delle promesse facili, quelle vendute nel decennio disastroso della destra”, mentre  credo “in un risveglio della fiducia, a cominciare dai giovani e dalle donne.” Il paradosso e’ che potevo sottoscrivere tutto di quella carta, tranne l’impegno a sostenere, a scatola chiusa, qualsiasi candidato risultasse vincitore alle Primarie. Un impegno che non so quanti elettori di Vendola avrebbero mantenuto in caso Tabacci risultasse vincitore. Un impegno che non impedisce agli elettori disonesti di votare, ma tiene lontani quelli onesti anche quando condividono gli ideali di fondo. Un impegno che, a quanto mi risulta, non esiste in nessuna altra primaria al mondo. Questa regola e’ stata regolarmente approvata dall’Assemblea nazionale del PD  su proposta di Bersani, ma basta questo a farla una buona regola?  
In secondo luogo, non era mia intenzione contestare il diritto del PD ad introdurre delle regole per delimitare la partecipazione alle sue primarie. Volevo solo criticare le scelte implicite in queste regole. Il gruppo dirigente del PD (Bersani in testa) ha preferito rifiutare  i voti di persone come me (non tanto e solo di Fermare il declino, ma di qualsiasi parte della societa’ italiana), per poi andare a contrattare i voti di un Casini che ha sostenuto  “le bugie delle promesse facili, vendute nel decennio disastroso della destra”, che non e’ laico, e che ha portato Cuffaro e compagni in parlamento.
Si’ io avrei votato Romney (anche se non l’ho fatto perche’ non sono cittadino americano) perche’ deluso da Obama (che non solo avrei votato, ma ho anche sostenuto finanziariamente nel 2008). Si’ una parte (molto minoritaria) del Partito Repubblicano americano crede nelle mie proposte economiche, e’ questa una colpa che mi  rende indegno delle primarie democratiche? Una colpa che rende Casini preferibile a me (e milioni di altre persone come me)?
A me non interessano le etichette di destra o di sinistra. E’ di destra o di sinistra combattere la mafia e la corruzione? E’ di destra o di sinistra credere nelle meritocrazia e rifiutare il nepotismo? E’ di destra o di sinistra combattere contro il conflitto di interessi? E’ di destra o di sinistra ribellarsi contro l’uso strategico dei lavoratori per difendere l’inquinamento delle imprese, che poi scaricano sulla comunita’ il costo dei loro mancati controlli? E’ di destra o di sinistra combattere contro il money trust rappresentato da banche e fondazioni bancarie? E’ di destra o di sinistra combattere perche’ gli aiuti statali vadano ai lavoratori e non alle imprese? Io combatto queste battaglie perche’ le ritengo giuste non perche’ sono di sinistra. Ma se tu vuoi ancora ragionare all’interno dei vecchi schemi, ti chiedo di leggere quello che scrivo e di verificare tu stesso che su questi temi io sono piu’ di “sinistra” non solo di Casini (ci vuole poco), ma anche del tuo compagno d’Alema, che ha permesso a Berlusconi di prosperare rifiutandosi di approvare una seria legge sul conflitto di interesse quando ne aveva l’opportunita’.   

Quando i giapponesi invasero la Cina, i nazionalisti ed i comunisti decisero di combattere uniti contro il nemico comune. Non ho dubbi che ci sono aspetti che dividono me da molti democratici, ma io sono pronto a combattere unito contro il nemico comune. Lo siete voi? Oggi combattere contro il declino non e’ di destra ne’ di sinistra. E’ sacrosanto. Quando Deng Xiaoping decise che non importava il colore del gatto, l’importante era che acchiappasse i topi, la Cina comincio’ a lasciarsi alle spalle i disastri del regime maoista e diede inizio al piu’ impressionate sviluppo che la storia ricordi.  
Tu e Bersani siete piu’ vicini al modo di pensare di Mao che a quello di Deng Xiaoping. Per voi il colore del gatto conta piu’ delle capacita’ del gatto di prendere il topo. Continuate pure su questa strada, ma poi non pentitevi se vi trovate la mafia, la corruzione, e il declino. E’ colpa vostra, che alla soluzione giusta nella busta “sbagliata” preferite la soluzione sbagliata nella busta del colore giusto.