Intervista a Carlo Stagnaro, tratta da Quotidiano Energia
La Sen non va nella direzioni giusta poiché lo sviluppo del sistema energetico non deve essere pianificato centralmente ma essere frutto delle libere scelte di operatori e consumatori, giusto caricare gli incentivi alle rinnovabili sulle bollette ma occorre semplificare le procedure e disincentivare il consumo di fonti inquinanti, evitare ulteriori oneri come il capacity payment, privatizzare gli incumbent pubblici (da Eni ed Enel fino alle municipalizzate) per creare un mercato realmente concorrenziale, modificare il Titolo V per riportare le competenze sull'energia al centro. Sono queste, in sintesi, le strategie energetiche illustrate dal co-fondatore di Fare per Fermare il Declino. nonché direttore del dipartimento Studi e ricerche dell'Istituto Bruno Leoni, Carlo Stagnaro. Ecco cosa ci ha detto nel quarto appuntamento dell'inchiesta di QE con le principali forze politiche in vista delle elezioni del 24/25 febbraio.
D. La Sen lasciata in eredità dal Governo tecnico punta contemporaneamente sul gas e sulle Fer/efficienza. Viste le prospettive future dei consumi (sui quali impattano ulteriormente proprio efficienza e risparmio energetico) sono obiettivi compatibili? Non sarebbe meglio focalizzare l'attenzione su uno dei due mercati?
R. Riteniamo che l'approccio della Sen non sia condivisibile. Prima ancora del merito delle indicazioni fornite nel documento, a nostro avviso l'evoluzione del sistema energetico non deve essere pianificata centralmente, ma deve essere il frutto delle libere scelte di operatori e consumatori. Il ruolo dello Stato è, da un lato, fornire una adeguata regolazione che consenta il funzionamento del mercato; dall'altro declinare delle politiche ambientali che consentano di incorporare il "costo sociale" delle attività di consumo e produzione energetica nel comportamento degli attori del mercato e nei prezzi. Quindi, a nostro avviso non solo non dovrebbe esserci alcuna "strategia nazionale", ma lo spazio per le politiche pubbliche è quello, importantissimo, legato alla definizione delle regole del gioco. I risultati non possono essere oggetto di decisione politica.
D. Lo sviluppo delle Fer deve continuare a pesare sulla bolletta? E fino a che punto? Sono auspicabili e praticabili strumenti di sostegno alternativi?
R. Nella misura in cui le Fer vengono incentivate, è corretto caricarle sulla bolletta, in maniera che l'onere ricada sui consumatori in proporzione a quanto consumano (e non sul contribuente in generale). Nel passato, però, si sono commessi troppi errori, legati sia alla sovraincentivazione di alcune fonti rinnovabili, sia alla gestione politica e incoerente dell'intero dossier. Riteniamo che, in prospettiva, si debba intervenire sia con un profondo processo di semplificazione delle procedure, sia con un rapido decalage degli incentivi fino a un obiettivo pari a zero per la capacità installata dopo il 2015. Il modo più efficace di promuovere le Fer è disincentivare il consumo di fonti inquinanti, mettendo poi in competizione tra di loro le fonti pulite e lasciando al mercato il compito di trovare il mix ottimale tra Fer elettriche, rinnovabili non elettriche, efficienza etc.
D. Quali interventi immediati sarebbero necessari per ridurre il costo dell'energia per imprese e consumatori?
R. La bolletta va ripulita di tutte le incrostazioni non necessarie, che vanno dai sussidi ad alcune categorie di consumatori fino agli oneri di sbilanciamento che, correttamente, l'Autorità intende trasferire sulle spalle di chi è all'origine di tali sbilanciamenti. Inoltre bisogna impedire l'introduzione di nuovi oneri, come quelli legati al cosiddetto "capacity payment". Ma questo intervento, se isolato, rimane monco: occorre contemporaneamente consentire ai produttori rinnovabili di commercializzare e valorizzare l'energia prodotta con strumenti di mercato, superando l'attuale monopolio Gse. Più in generale, è indispensabile garantire un adeguato livello di concorrenza nel mercato elettrico e in quello gas (i cui colli di bottiglia spiegano in parte i prezzi elettrici). A questo fine non è sufficiente una rigorosa applicazione delle norme antitrust: bisogna anche vigilare sulla realizzazione dei necessari investimenti in nuova capacità di stoccaggio. Ultimo, ma non meno importante, la presenza di operatori pubblici è di per sé un ostacolo alla concorrenza: privatizzare gli incumbent pubblici, da Eni ed Enel fino alle municipalizzate, è un passaggio essenziale nella creazione di condizioni autenticamente concorrenziali. Nel settore gas bisogna dire un chiaro no a forme di capacity payment per i contratti take or pay: si tratterebbe di un aiuto di Stato privo di qualunque giustificazione e pesantemente distorsivo della concorrenza.
D. Nonostante molte riforme, il prezzo dei carburanti rimane elevato. Bisogna agire solo sul peso fiscale o esistono altri aspetti su cui intervenire?
R. Purtroppo dobbiamo essere realisti: sebbene nel medio termine un riordino della tassazione energetica sia necessario, nel breve termine non riteniamo possibile ritoccare al ribasso il livello delle accise. Crediamo tuttavia si debba prendere un forte e credibile impegno a non alzarle ulteriormente. Sempre in tema di fiscalità, siamo inoltre favorevoli all'abolizione della "Robin Tax", un'imposta irrazionale e distorsiva. Per quel che riguarda i carburanti, poi, crediamo debba essere completato il percorso di liberalizzazione lasciato monco dal Governo Monti: liberalizzando completamente orari e turni, consentendo le aperture 24/7 anche in ambito urbano (incluso il self service) e rimuovendo gli ostacoli più o meno pretestuosi all'apertura di nuovi impianti, compresi quelli presso la grande distribuzione. In particolare occorre eliminare dalle normative regionali gli obblighi di Gpl, metano o idrogeno che, come correttamente riconosciuto dall'Antitrust, hanno natura anti-concorrenziale.
D. Pensate sia opportuno avviare nuove liberalizzazioni e ridurre il peso degli azionisti pubblici nel settore energetico?
R. Non bisogna avviare nuove liberalizzazioni ma completare quelle già avviate (e che hanno prodotto risultati comunque non marginali) e correggere le storture che, nel tempo, si sono stratificate. L'esempio più clamoroso è quello della timida separazione di Snam da Eni: un provvedimento del tutto condivisibile, se non fosse che sia la rete sia l'incumbent sono stati mantenuti sotto ferreo controllo pubblico. Come detto, una componente importante della strategia di liberalizzazioni che abbiamo in mente è la privatizzazione di tutti gli operatori pubblici, sia nazionali sia locali. Nel caso di Eni, in particolare, probabilmente è ragionevole far precedere la privatizzazione da una riorganizzazione aziendale che separi la parte oil & gas dalla utility, e preveda una cessione separata.
D. La riforma del Titolo V è ferma in Parlamento per la fine della Legislatura. Pensate sia opportuno approvarla? Esistono altri rimedi per accelerare e snellire gli iter burocratici?
R. Fare ritiene che, per addivenire a un più solerte sistema di autorizzazione (permitting), si debba modificare il Titolo V della Costituzione che fissa oggi il criterio della competenza "concorrente" tra Stato e Regioni: un sistema che ha causato blocchi e paralisi che il Paese non può più permettersi. Questo non significa togliere la parola ai territori e alle autonomie locali: tutti debbono essere messi in condizione di essere correttamente informati e di esprimersi su iniziative industriali e infrastrutturali, ma è necessario un quadro decisionale più chiaro e definito, che non lasci incertezze nell'applicazione della legge e nella definizione degli iter autorizzativi, e minimizzi i conflitti di attribuzione tra Stato e Regione e più in generale lo scontro tra Centro e Periferia.